L’ora del Confiteor, sobre las elecciones del 2013

L’ora del Confiteor, sobre las elecciones del 2013

I risultati elettorali del 24/25 febbraio sanno a dramma, è innegabile,
per molte ragioni. L’hanno detto ormai e l’hanno scritto
non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Perfino la presidente argentina s’è ricordata dell’Italia: non abbiamo
capito bene se per darci una lezione, per compatirci, per
confonderci, curiosamente, con uno stato pontificio… Non s’è capito
bene, ma crediamo di supporre bene, tuttavia, se supponiamo
che le premeva soprattutto fare un paragone tra come governa
lei e come governano gli altri. Ma lasciamo perdere: nella foga
di esposizioni così appassionate può succedere di tutto (anche
quando un Capo di Stato sta parlando ex Cattedra, cioè nel cuore
del Parlamento, e pertanto dovrebbe…).
Ma lasciamo perdere e torniamo al dramma di questi risultati.
Dopo il frastuono internazionale di tutta la settimana, difficile
dire qualcosa di nuovo sulle cause di questi risultati e sugli sviluppi
possibili. Anche perché mettersi a fare scommesse e a tentare
indovinelli non è consigliabile in una materia ormai così algida
e complessa. Tra quanti -oltre la presidente argentina- non hanno
resistito alla tentazione di mettere bocca subito sull’argomento, a
caldo, senza opportuni paracadute, non manca chi un’osservazione
giusta, fondata e realistica l’ha fatta. E’ stato, a nostro parere, il
presidente francese, Hollande, affermando che la lezione del

voto italiano dev’essere meditata soprattutto in Europa.
E’ questo solo uno degli aspetti, ma ci sembra fondamentale
sotto più punti di vista.
Perchè l’Italia è il Paese dove più che altrove persiste
il pungolo storico europeista per fede e cultura
storica; perchè appare manifesto che questo voto-castigo
deriva “anche” da intransigenze dogmatiche
venute da fuori, che -ovviamente- non esimono la dirigenza
italiana dalle sue gravi responsabilità -prossime
e remote- e perchè a questo punto -piaccia molto
o piaccia poco- il futuro dell’Italia pare inscindibile
dall’Unione comunitaria che abbiamo contribuito
a formare sin dalla sua fondazione.
Detto questo, cerchiamo di guardare da vicino
questi risultati, tentando di dimenticare le infinite filastrocche
di sciocchezze (o manifeste cattiverie, figlie
spesso d’inguaribile invidia) che abbiamo letto
in questi giorni sul caos e sulla definitiva rovina dell’Italia,
sulla inesorabilmente guastata psicologia
degli italiani e sulla loro pervicace tendenza a mentire
e a scherzare col fuoco…
Anzitutto, quel tanto -poco o molto che sia- di
nuovo o sconvolgente o “rivoluzionario” che emerge
da questo voto viene proposto democraticamente,
con la scheda elettorale, non pugnale in mano e con
trame anarchiche. In secondo luogo -sia pure in un
contesto italiano ed europeo non certo incoraggiante-
la politica italiana ha superato prove che dovrebbero
far meditare prima di darci per spacciati. Per
esempio: giusto sessant’anni fa, quando non era conclusa
la ricostruzione e non c’era stato ancora il
boom economico, nell’estate del 1953 -chi ha buona
memoria, ricordi- la caduta del centrismo degasperiano
provocò serie difficoltà, che fecero parlare
–già allora- di panico italiano. Ci vollero mesi per
arrivare, dopo il voto del 7 giugno, al governo Pella,
previa mancanza di fiducia parlamentare a De Gasperi,
a Piccioni…
Si trattava di tutta un’epoca che volgeva alla fine,
dello storico tramonto politico dell’uomo di stato più
importante emerso nel tragico dopoguerra. “Ho 73
anni -disse allora De Gasperi- e sono pronto a sacrificarmi”.
Linguaggio da dramma, nerissime prospettive
di instabilità, in un contesto di sistema democratico
incipiente e traballante…
Tanto per dire e per ricordare.
Momenti analoghi -e più gravi ancora- ce ne sono
stati tanti, in tempi più vicini, che sarebbe lungo
enumerare, ma basti questa “antica” citazione della
nostra vita democratica, che segnò forse il primo caso,
più significativo.
Memorie, ricordi e citazioni che i più avanti negli
anni siamo tenuti a fare e non solo per consolarci
delle brutture di questa circostanza, ma solo per indurre
a guardare al futuro non sull’ala dell’intransigenza
e della superbia -sempre cattivi compagni- ma
con uno sforzo per ricercare la capacità di accettare
gli errori e le responsabilità che questi risultati ci
mettono di fronte. Responsabilità. Ci vuole coraggio
per il “mea culpa”, si sa. Ma come dimenticare che
il Presidente della Repubblica s’è stancato di chiedere
la riforma della legge elettorale, giorno per
giorno? L’ha suggerito e reclamato, fino all’ultimo
momento utile. “Le riforme da fare” è una frase-ritornello
che ha stancato le nostre orecchie per anni,
per decenni. Come non detto, non se n’è fatto niente.
L’impudicizia pubblica di certi personaggi, gli
abusi, le ruberie, l’eccesso di privilegi, gli scandali
non dovevano sommare fatalmente il malcontento e
la rabbia destinati ad esplodere in qualunque modo
canalizzati? Ci voleva tanto a capirlo e a tentare di
porvi rimedio? E niente.
Non ci si può affacciare alla TV e parlare quotidianamente
di democrazia, di benessere e di solidarietà
e vivere e operare come ai tempi del feudo e dei
vassalli, coperti di impunità e di privilegi. La gente
prende nota, specialmente quando naviga in contesti
gravosi.
E dunque ora?
Ora siamo esposti a dure prove. Ora è augurabile
che coloro cui compete sappiano recitare il Confiteor
sull’Altare della Patria, davanti al Paese e siano
capaci non solo di pentirsi e chiedere perdono, ma
anche di impegnarsi, in nome della Nazione, per i
cambiamenti radicali -le riforme- che si devono fare.
Altro che andarsene tutti a casa. Sono stati eletti
per operare. E dimostrare che son capaci d’un colpo
di reni come non si vede da troppo tempo e come
queste circostanze a viva voce reclamano.

Share this post

Deja una respuesta


AUSPICIANTES