Da Colombo Emilio a Cristoforo Colombo… E la collettività?

Da Colombo Emilio a Cristoforo Colombo… E la collettività?

di DANTE RUSCICA

Artículo escrito por nuestro director para el diario «Tribuna Italiana» el día 3 de Julio de 2013.

 

 

La notizia della morte dell’anziano politico italiano Emilio Colombo – esponente di primo piano nel dopoguerra, sin dalla Costituente del ’46 – ha ispirato al direttore Marco Basti, nel numero scorso della TRIBUNA ITALIANA, considerazioni che offrono lo spunto per un confronto e un possibile dibattito -riteniamo – non del tutto inutili.
Giusto ed opportuno l’omaggio a Emilio Colombo, più volte ministro del governo italiano e anche presidente della Comunità Europea, rilevante dirigente socialcristiano che, da giovane, appartenne alla schiera degasperiana che seppe scrivere la storica pagina della ricostruzione dalle rovine e dalle miserie causate nel nostro Paese da una delle più atroci guerre e dalla lunga dittatura fascista.
Marco Basti è stato colpito non tanto dalla (casuale) coincidenza del cognome di Emilio Colombo che nel 1982 (poco più di trent’anni fa) ci unì tutti in un grande abbraccio nel teatro italiano Coliseo, mentre adesso, in questi ultimissimi tempi, l’ ”altro Colombo”-
il genio delle leggendarie caravelle e della scoperta dell’America – non ci ha trovati tanto uniti e determinati di fronte al tentativo di  mettere in discussione il suo monumento: non tanto uniti, almeno, da farci reagire come allora, quando in qualche modo si forzò la mano delle autorità italiane, strillando con comitati e manifestazioni che – al di lá del merito specifico dell’evento – in quella guerra delle Malvine erano inevitabilmente destinati a morire i figli delle nostre famiglie qui residenti…
Ecco: allora sì, ora no. Vale la pena chiedersi perchè.
E non vale ovviamente la sciocca risposta che “i tempi sono cambiati”.
Certo che i tempi sono cambiati, ma è doveroso – riteniamo – portare con serietà il discorso sul tema di fondo della consistenza della cosiddetta “collettività”. In realtà, mi pare che più che di collettività italiana, a questo punto, sarebbe più giusto parlare di componente di discendenti italiani e analizzarne la portata, gli interessi, la composizione, le possibilità evolutive che offre. I tempi  dell’associazionismo ancorato al “mutuo soccorso” sono lontani e preistorici. Ma l’eredità di quelle associazioni non è uno scherzo. Eppure non si sente mai parlare (solo nelle ultime settimane ne parla la Fediba), per esempio, di un opportuno censimento per sapere quante sono e dove stanno, come stanno e come riciclarle nella realtà di oggi, in questi tempi cambiati. Si badi: non è solo un’eredità di affetti e di canzonette (che per altro nessuno sa più cantare).
Si tratta di un asse immobiliare non trascurabile davvero, sviluppato nelle grandi e nelle piccole città argentine all’insegna della vecchia e superata bandiera dell’antidiluviano mutuo soccorso, promosso dalla nostra antica (e benemerita) emigrazione. Si tratta di
istituti ed associazioni dove in pratica non si parla più italiano. E questo duole, ma non ci deve disarmare. E’ una realtà di cui  prendere nota e registrarla così com’è, senza storcere il naso e senza girarsi dall’altra parte con gesti tanto altezzosi quanto irresponsabili.
I cosiddetti dirigenti della collettività, i parlamentari e gli aspiranti tali che difendono “il voto” e che credono di risolvere tutto con una bicchierata all’anno e affollando una volta all’anno il Coliseo, ci devono pur riflettere, ovviamente insieme alle autorità italiane,
quelle di Roma e quelle locali…
E devono cercare intese e non polemiche per arrivare a proposte e orientamenti non di rassegnazione e di pianto sul latte versato,
ma nella ricerca concordata di prospettive aggiornate e soluzioni possibili. C‘è molto da fare, senza bisogno di muovere le montagne. Cose semplici. Cominciamo, per esempio, a chierderci perchè nessuno sa – al di fuori della stretta cerchia di sempre – che il teatro Coliseo è italiano.
Proviamoci a fare un’inchiesta. Scopriremmo che nessuno lo dice e nessuno lo indica mai come tale. Quanti – anche tra quelli che delirano per avere il passaporto italiano – sanno dire cos’è il 2 giugno e cosa significa il 25 aprile? Proviamoci a fare l’inchiesta. Se
si cerca una maggiore partecipazione bisogna cercarla e alimentarla.
E’ chiaro che, se non c’è sistematico impulso e coordinamento nel campo dell’informazione e della diffusione, è inutile lagnarsi.  Pensate cosa sarebbe successo mediaticamente se, invece della nostra statua, si fosse trattato – a proposito di Colombo – del
monumento di qualche altra locale “componente”, magari meno importante e assai meno numerosa della nostra, ma fortemente impegnata nella tutela del prestigio, del buon nome e degli interessi della propria eredità culturale e dei propri cognomi.
Provatevi a indagare quale gruppo, settore, ambito della nostra “collettività” ha “confidenza” con i grandi mezzi di comunicazione. Certo, poi, all’improvviso si scopre che i giornali e la Tv “servono”. Servono, ma chi li conosce, chi li avvicina, chi ci parla, chi li
informa? Incuriosisce (e indigna) a volte osservare come – dopo aver visto con i nostri occhi riunioni con migliaia di partecipanti e iniziative e manifestazioni culturali anche di riguardo – il giorno dopo scopriamo che non ne figura alcun riflesso nella grande stampa.
Nessun riflesso, perchè nessuno se n’è occupato in tempo e in modo adeguati.
Facciamo onestamente il mea culpa e allora forse ci spiegheremo perchè una ventina d’anni fa Emilio Colombo, come ministro degli Esteri, venne da Roma a spiegarci, con un grande e premuroso discorso nel teatro italiano Coliseo, che – nonostante le gravi difficoltà del caso – il governo italiano, proprio in omaggio alle istanze di questa collettività, aveva rifiutato le sanzioni all’Argentina imposte dalla Comunità Europea, su richiesta del governo inglese nel contesto della guerra per le Malvine.
Allora, “quel Colombo”. Oggi per l’altro Colombo – quello della statua – non riusciamo a forzare la mano di nessuno, di fronte alle smemorate autorità argentine dei giorni nostri…

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